14
Dic2017

IL GENITORE RISPONDE DEI DANNI CAUSATI DAL FIGLIO MINORENNE

Nella cronaca si legge spesso di genitori che si ritengono esenti da responsabilità allorché i loro figli, soli oppure in gruppo, causano danni a persone o cose.
Chiamati a rispondere del danno causato dal minorenne, essi ritengono un’ingiustizia il dover rispondere con il proprio patrimonio, soprattutto quando il danno è stato procurato allorché il figlio o la figlia non erano sotto il loro diretto controllo oppure ne avevano affidato la vigilanza a terzi .
La legge, però, è piuttosto chiara sul punto in quanto l’articolo 2048 del codice civile italiano dispone che :

“Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non avere potuto impedire il fatto”.

Le responsabilità del genitore e del precettore, o insegnante, sono quindi previste dalla stessa norma di legge e si differenziano da quella cui sono chiamati i maggiorenni in virtù del particolare rapporto che intercorre tra padre o madre e figlio convivente.
Poiché tale rapporto presuppone il dovere di educare i figli, il danno causato dal minore è considerato dalla legge una “culpa in educando” e la giurisprudenza si è più volte espressa in tal senso.
La natura dell’obbligo risarcitorio del genitore è da alcuni giuristi considerata una responsabilità diretta per fatto proprio, e cioè come se il fatto dannoso fosse stato compiuto da lui stesso, per altri una responsabilità oggettiva e per altri ancora un semplice obbligo di garanzia versi i terzi.


Se astrattamente il genitore potrebbe dimostrare di aver dato al ragazzo o alla ragazza un’educazione adeguata e, di conseguenza, di non avere colpa nel danno causato dal minore, così evitando di doverne rispondere economicamente, nei fatti una tale dimostrazione risulta praticamente impossibile perché per la giurisprudenza il fatto dannoso in sé costituisce prova dell’inadeguatezza dell’educazione impartita.
Quando invece il minore era affidato alla sorveglianza di altri si rientra nella fattispecie dell’art. 2047 del codice civile che attribuisce al sorvegliante la responsabilità dei fatti commessi dagli incapaci, ma solo qualora si possa dare dimostrazione che il minore era incapace di intendere e di volere, e tale giudizio è lasciato al Giudice in relazione alle condizioni generali del minore, all’assenza di malattie ed al contesto in cui è nato e cresciuto, restando del tutto irrilevante l’età. Diversamente ne risponde comunque il genitore.
C‘è da aggiungere che anche in caso di capacità diminuita, la giurisprudenza ha talvolta considerato la responsabilità del sorvegliante concorrente con quella del genitore.
Ne consegue che per la legge italiana l’obbligo del genitore di educazione del figlio risulta di primaria importanza e comprende il dovere di insegnamento del neminem laedere , vale a dire del non arrecare danni, e che qualora ciò avvenga la responsabilità ricade comunque sul padre e sulla madre in solido tra loro.
La convinzione di questi ultimi di essere sollevati da ogni conseguenza o, peggio ancora, la pretesa di addossare la responsabilità del danno a terzi nel momento in cui il figlio viene affidato ad altri risulta del tutto infondata.
(Cass. 20 marzo 2012, n. 4395 – Cass. 19.02.2014, n. 3964)

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